Friday 2 October 2009

La riserva di legge in materia penale

La riserva di legge in materia penale è il principio in base al quale viene attribuita in via esclusiva al legislatore ordinario la potestà normativa in materia penale.
Tale principio, che regola dunque il sistema delle fonti normative del diritto penale nel nostro ordinamento, è accolto, a livello costituzionale, dall’art. 25 Cost. a tenore del quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso (II° comma), e nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge (III° comma). Anteriormente all’entrata in vigore della Costituzione, la riserva di legge era sancita, come lo è ancora oggi a livello di legislazione ordinaria, dagli artt. 1 e 199 del codice penale.
Questione preliminare da affrontare consiste nell’individuazione della ratio della riserva di legge. In altre parole, è necessario chiedersi, innanzitutto, il motivo che ha spinto il legislatore ordinario prima, ed il legislatore costituzionale più tardi a stabilire che unica fonte del diritto penale nel nostro ordinamento fosse la legge formale, sottraendo, dunque, la competenza in tale materia al potere esecutivo.
Successivamente all’individuazione della ratio della riserva si potrà delineare l’ampiezza della sua portata; capire cioè se la riserva di cui all’art. 25 II° comma Cost. debba essere considerata una riserva di carattere assoluto o di carattere relativo. La distinzione è di fondamentale e sostanziale importanza: in caso di riserva assoluta il legislatore non potrebbe rimettere, neppure in parte, a fonti secondarie la disciplina della materia penale; se si dovesse concludere in favore della natura relativa della riserva, viceversa, il legislatore potrebbe limitarsi a disciplinare gli aspetti essenziali della materia, rinviando per gli altri a norme di rango secondario.
La migliore dottrina afferma che la ratio dell’attribuzione in via esclusiva al legislatore ordinario della potestà normativa in materia penale vada ricercata nella peculiare struttura del procedimento legislativo e nel particolare regime dell’atto legislativo.
Nell’attuale momento politico–costituzionale il procedimento legislativo, seppur con le sue inevitabili imperfezioni, appare lo strumento più adeguato a salvaguardare il bene della libertà personale, bene primario dell’individuo, di cui “si dispone” nel diritto penale. Attraverso il procedimento legislativo si consente, tra l’altro, di tutelare i diritti delle minoranze e delle forze politiche dell’opposizione che partecipano alla formazione della legge e sono poste in condizione di sindacare le scelte di criminalizzazione adottate dalla maggioranza. L’obiettivo è quello di garantire, attraverso questa dialettica, la regolamentazione più equilibrata possibile dei diritti fondamentali dei singoli.
Vi sono dei casi, tuttavia, in cui il procedimento legislativo non riesce ad assicurare la dialettica parlamentare auspicata (basti pensare all’ipotesi di una maggioranza parlamentare schiacciante). In queste ipotesi l’atto legislativo, grazie al suo particolare regime, è in grado comunque di garantire i cittadini dai possibili arbitrii del potere legislativo - che nel caso sopra prospettato altri non è che la maggioranza - attraverso il controllo da parte della Corte Costituzionale della conformità della legge ai valori ed ai beni costituzionalmente garantiti, ed il controllo di merito ad opera del referendum popolare abrogativo (art. 75 Cost.)
La riserva di cui all’art. 25 II° comma Cost., riconosce dunque, la legge come unica fonte del diritto penale nel nostro ordinamento. La legge è l’atto normativo che più di ogni altro garantisce la tutela dei i beni fondamentali dei cittadini, anche dai possibili arbitrii del legislatore, attraverso dapprima il vaglio parlamentare – delle minoranze – e successivamente attraverso il sindacato di legittimità della Corte Costituzionale e di merito ad opera del referendum abrogativo.
Se quella appena individuata è la ratio del precetto costituzionale contenuto nell’art. 25 II° comma, e se i beni protetti dalla riserva sono i beni fondamentali della persona, si deve necessariamente concludere in favore del carattere assoluto della riserva di legge. In concreto, dunque, il legislatore non potrebbe, in alcun caso, rinviare ad atti diversi dalla legge l’integrazione delle fattispecie penalmente rilevanti.
Occorre, a questo punto, individuare quali siano gli atti normativi idonei a soddisfare il carattere assoluto della riserva.
E’ evidente, in base a quanto detto sin ora, che il concetto di riserva di legge rinvia in primis alla legge ordinaria formale, e cioè all’atto normativo emanato dal Parlamento ai sensi degli artt. 70 – 74 Cost. A maggior ragione, rispetto alla legge ordinaria, può esprimere norme penali la legge costituzionale.
E’ ormai pacifico, inoltre, che anche i decreti legislativi (ex art.. 76 Cost e 77 I comma) e i decreti legge (ex art. 77 commi 2 e 3 Cost) siano ammissibili come fonti del diritto penale.
Entrambi, infatti, oltre ad avere forza e valore legge sono soggetti al sindacato di legittimità della Corte Costituzionale ed all’eventuale referendum abrogativo, soddisfacendo evidentemente a pieno la ratio della riserva di legge. Inoltre tanto i decreti legislativi, quanto i decreti legge sono sottoposti al vaglio, rispettivamente preventivo e successivo, del plenum dell’Assemblea parlamentare. Per quanto riguarda i decreti legislativi, infatti, è lo stesso Parlamento che determina i principi ed i criteri direttivi che il governo dovrà rispettare nella redazione del decreto. I decreti legge invece, che possono essere adottati solo in casi straordinari di necessità e di urgenza, devono essere convertiti in legge ordinaria entro 60 gg dalla loro pubblicazione ed in caso di mancata conversione perdono efficacia sin dall’inizio.
La dottrina è unanime, inoltre, nel negare la legittimazione delle regioni a statuire in materia penale. Gli argomenti maggiormente probanti, a sostegno di tale opinione, sono quello delle inderogabili condizioni di uguaglianza in tema di libertà personale (art. 3 Cost), nonché il divieto posto alle regioni dall’art. 120 2° e 3° comma Cost di adottare provvedimenti che ostacolino o limitino l’esercizio, da parte dei cittadini, di diritti fondamentali.
Individuata la ratio ed accertate le tipologie di atti normativi idonei a soddisfare il carattere assoluto della riserva di legge, è il momento di tracciare i limiti dell’oggetto della disciplina riservata alla potestà normativa del legislatore. Si ritiene che la legge debba specificare oltre alla fattispecie criminosa anche ogni specie di conseguenza sanzionatoria che dia concretezza alla punizione e cioè le pene principali, quelle accessorie, gli altri effetti penali della condanna, le condizioni obiettive di punibilità, le cause di esclusione della punibilità, le cause di estinzione del reato e della pena e la determinazione del tipo e dei limiti edittali della pena. Secondo una parte della dottrina non sarebbero “coperte” dalla riserva di legge le norme che prevedono le cause di giustificazione che escludono la contrarietà della condotta altrimenti penalmente rilevante, considerando tali scriminanti dei “fatti giuridici autonomi” previsti da norme di liceità dell’intero ordinamento, non strettamente penali e dunque estranee alla relativa disciplina costituzionale. Il regime della riserva assoluta si estende anche alle regole che hanno funzione modificativa o estintiva dell’illecito o dei suoi effetti giuridici. Non potrebbe essere diversamente: se i fatti costitutivi di illeciti penali e le relative conseguenze devono essere previsti da regole ordinarie, qualsiasi effetto modificativo o estintivo, del fatto o della sanzione, non può essere stabilito a mezzo di regola secondaria .Se così fosse si verrebbe ad ammettere che ciò che la legge dispone ed è garantito dalla riserva sarebbe derogabile o modificabile da norme di grado inferiore; conclusione questa inammissibile tanto in considerazione della ratio della riserva, quanto in base al principio della gerarchia delle fonti.
Stabilito che la legge debba individuare tanto la fattispecie criminale quanto ogni tipo di conseguenza sanzionatoria ad essa ricollegabile, ci si chiede se il legislatore possa, ed in caso affermativo in quali ipotesi, rinviare ad un atto normativo secondario per l’integrazione della norma penale. Ci si domanda insomma se la riserva di cui all’art. 25 Cost. debba essere necessariamente intesa in modo “rigidamente assoluto”, ovvero se sia configurabile come una riserva “tendenzialmente assoluta” o addirittura relativa, tesi, quest’ultima, che in passato è stata largamente sostenuta dalla dottrina ed anche della giurisprudenza costituzionale e che ancora oggi pone spunti di riflessione.
Con sensibilità principalmente volta all’esigenza pratica di conservare quei settori dell’ordinamento penale costituiti, precedentemente all’entrata in vigore della Costituzione, da fattispecie integrate da fonti normative secondarie e pertanto a rischio di illegittimità costituzionale a fronte di una riserva assoluta di legge, la dottrina e la Corte costituzionale hanno sostenuto, soprattutto in passato, diverse teorie favorevoli al carattere relativo della riserva. La giurisprudenza costituzionale, dopo aver, in un primo momento adottato il criterio della “presupposizione” – secondo il quale la norma secondaria cui la legge rinvia non rileverebbe quale fonte integratrice del precetto penale, bensì come mero presupposto di fatto per la sua applicabilità – si è andata consolidando con il ricorso alla teoria della sufficiente predeterminazione della fattispecie di fonte legale.
Secondo tale criterio la riserva sarebbe rispettata quando sia una legge, anche se extrapenale, a indicare, in ordine al momento precettivo della norma, con sufficiente specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto e i limiti dei provvedimenti dell’autorità non legislativa, alla cui trasgressione deve seguire la sanzione, che a sua volta, dovrà necessariamente essere stabilita da una legge.
Nel rispetto di tale principio il legislatore penale può, dunque, delegare ad una fonte normativa secondaria l’integrazione e/o la specificazione di elementi di fattispecie già esaurientemente espressi dalle scelte valutative contenute nella legge (il legislatore sfrutta spesso la possibilità di operare rinvii ai regolamenti dell’esecutivo in materie particolarmente tecniche o che richiedano continui aggiornamenti). Viceversa, le leggi “non possono rimettere ad altre autorità di determinare in via normativa, a propria scelta, se sanzionare o no certe infrazioni e se sanzionarle in una misura o con certe modalità piuttosto che diversamente” (Corte Cost. sentenza 26/1966).
Strutturalmente connessa al tema dei rapporti intercorrenti tra legge penale e fonti normative secondarie, è la questione delle così dette norme penali in bianco.
La dottrina maggioritaria ritiene che norme penali in bianco siano quelle disposizioni il cui precetto, al contrario della sanzione che viene specificata, è formulato genericamente e deve essere completato da altre fonti -sublegislative- ovvero è del tutto assente e contenuto in altre norme di grado pari o inferiore.
Ora, se il precetto, o la specificazione dello stesso, è contenuto in regole già entrate in vigore al momento in cui è prodotta la disposizione penale in bianco che ricollega la sanzione in essa contenuta alla violazione di quelle regole, il principio della riserva di legge è rispettato. In questo caso, infatti, il legislatore, quando predispone il rinvio, conosce già le norme che ne costituiscono l’oggetto; la scelta del comportamento criminale, dunque, rimane sostanzialmente nelle mani legislatore.
Sorgono, invece, fondati dubbi di legittimità costituzionale della norma penale in bianco che operi un rinvio a regolamenti o provvedimenti dell’autorità amministrativa futuri. In questa ipotesi sarebbe l’atto normativo di fonte sublegislativa ad individuare in concreto la condotta criminale della norma, violando così il precetto costituzionale contenuto nell’art. 25 II cost.
Si ritiene peraltro che non si possa parlare di norma penale in bianco quando essa rinvii a singole prescrizioni concrete ed individuali, di volta in volta emanate dall’autorità competente perchè esse, non avendo carattere generale ed astratto, non svolgerebbero alcun ruolo precettivo nella descrizione dell’illecito.
Secondo alcuni autori la norma penale in bianco non violerebbe il principio di riserva di legge perché gli atti sublegislativi ai quali si richiama non costituirebbero una fonte integratrice del precetto. Il precetto, infatti, sarebbe contenuto interamente nella disposizione penale non rappresentando altro che l’ordine di obbedire all’atto sublegislativo richiamato (teoria della c.d. disobbedienza come tale).
Sta di fatto che ove si volesse attribuire alla riserva di legge in materia penale carattere assoluto non si potrebbe non ravvisare l’incostituzionalità delle norme penali in bianco.